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IL FILANTROPO E IL PETROLIO UMANO

IL FILANTROPO E IL PETROLIO UMANO

Prove generali di dittatura

Dietro le quinte della tragedia mondiale innescata dal virus cinese si sta realizzando l’imperialismo tecnologico dell’intelligenza artificiale, con una guerra planetaria che coinvolge aspetti tecnologici come il 5G e aspetti di limitazione progressiva della libertà, attraverso i tracciamenti che forniscono all’intelligenza artificiale il propellente necessario ai Big Data, i quali si alimentano con le informazioni che quotidianamente già formiamo con carte di credito, bancomat, accessi internet app e via discorrendo.

Chi governa le sorgenti degli algoritmi non è contento e, in linea con il Filantropo di Soloviev, tenta, sfruttando la paura pandemica, di innestarci sottopelle un microchip che garantirà ai Big Data e agli algoritmi ogni dettaglio della nostra vita.

Dietro le quinte della pandemia si sta avvicinando e concretizzando il Grande Fratello di Orwell: una dittatura mondiale che ha già fatto le sue prove con il modello del nazicomunismo cinese.

Per chi governa gli algoritmi e l’intelligenza artificiale, l’uomo è il nuovo “petrolio” per il mondo digitale, governato, non più dalla ragione e del libero arbitrio, ma da un’apparente algida, neutrale, logica algoritmica, dietro la quale si muove un ristretto gruppo di potenti che ne governa le sorgenti.

The Economist (6 maggio 2017) scriveva in proposito: “La misura più preziosa nel mondo non è più il petrolio, ma i dati”. Dati che sono immagazzinati con un crescendo impressionante e sono passati dai quasi zero Zbytes del 2005, ai 45 Zbytes previsti per il 2020 e ai 180 Zbytes previsti per il 2025 (uno Zbytes equivale a 1021 bytes, ossia 10 seguito da 21 zeri).

I Big Data, ossia i grandi aggregati di dati, sono raccolti dal web e dai vari strumenti elettronici messi a disposizione o comprati dai cittadini (telefoni cellulari, pos, ma anche sensori di ultima generazione installati in casa o in auto, ecc.).

Sempre The Economist scriveva il 6 maggio 2017: “Dalle metropolitane alle turbine eoliche, fino alle toilette e ai tostapane, ogni sorta di dispositivo sta diventando sorgente di dati. Il mondo si sveglierà con sensori connessi ovunque, le persone lasceranno una traccia ovunque andranno, anche se non connesse ad internet”.

Come una mandria di animali al pascolo, apparentemente liberi, saremo (siamo) confinati in un recinto informativo che osserva ogni nostra mossa e ogni nostra azione.

Dati i costi di investimento elevati per acquisire, stoccare ed elaborare i Big Data, alcune aziende si sono presentate sul mercato con il cloud computing, ossia lo stoccaggio dei dati nella “nuvola” e in altri casi forniscono algoritmi intelligenti per l’elaborazione dei dati, facendo si che anche le piccole imprese diventino, di fatto, fornitrici di dati e vassalle di poche multinazionali.

A ostacolare l’uso indiscriminato dei dati personali esistono leggi di tutela imposte dagli Stati, ma in una logica di globalizzazione le leggi degli Stati sono sempre meno cogenti e facilmente superabili.

La questione di una deriva totalitaria è all’ordine del giorno e diventa tanto più preoccupante quando i Big data e la loro gestione sono nelle mani di poteri autocratici  o di Stati totalitari.

Siamo in presenza del tentativo, ormai non più tanto nascosto, di istituire una matrix artificiale, ossia artificio dell’essere umano, che oggi rappresenta, più di ogni altra, la sfida esistenziale per l’intera umanità. Una matrix fatta di algoritmi messi in opera dagli esseri umani per il dominio sugli esseri umani, la cui frontiera possibile è la sottomissione dell’essere umano all’intelligenza artificiale (ovviamente governata da una élite di Eletti). Quella che sembrava, anche solo cinquant’anni or sono fantascienza, ora si presenta nei panni di una realtà e di un incombente disastro.

Gli algoritmi sono strumenti di calcolo, procedure che funzionano in base a “entrate” (input), ossia in base a informazioni che vengono fornite e, come ha ben spiegato Kurt Gödel, i sistemi logici, come il linguaggio naturale o la matematica, comprendono sempre teoremi veri che non si possono dimostrare con gli stessi strumenti logici usati per generarli. Gli algoritmi, pertanto, “non sono onnipotenti”. [1] Va inoltre tenuto ben chiaro che un algoritmo non è un numero e nemmeno un insieme di numeri; è una procedura di calcolo, dietro alla quale c’è chi la costruisce e la governa.

La tracotanza dell’algoritmo e la difesa della libertà

Ridurre l’essere umano alla sua attività razionale, riducibile a sua volta a formule, separate dalla dinamica reale del vivente, è ciò che vuole la scommessa relativa all’intelligenza artificiale, una delle principali scommesse della finanza internazionale impegnata a farne un riferimento obbligatorio sullo sviluppo futuro dell’umanità.

“Il bersaglio ormai esplicito delle tecnologie neurali – scrive Michele Mezza – è chiaramente il cervello, ossia la possibilità di instaurare un canale di comunicare autonomo fra macchine digitale e il nostro sistema neuronale, per aprire una sorta di back door, di porta d’accesso al cervello”. [2]

E’ in questo ambito che va collocata la tracotanza dell’algoritmo, ossia la tendenziale dittatura di un “mondo tecnologico subordinato e potentati monopolistici”. [3]

In questa tracotanza dell’algoritmo possiamo identificare uno degli aspetti più insidiosi per l’attuale stadio della civiltà, dove degli Over The Top, i sedicenti Eletti, ossia di chi si pone fuori e sopra il libero arbitrio dell’essere umano, ne vuol mettere in discussione la libertà.

I nuovi leviatani vorrebbero togliere all’essere umano quello che nemmeno il Fondamento divino nel “metterlo al mondo” gli ha tolto e che non gli sarà tolto nemmeno quando lascerà “questo mondo”: il libero pensiero dal quale consegue il libero arbitrio.

In questa azione dei nuovi leviatani risiede il vero odio radicale per l’umanità.

La matrix dei leviatani si presenta sotto forma di algoritmo, di intelligenza artificiale e di pensiero unico “oggettivo” in quanto ritenuto razionale. La “nostra – come afferma Michele Mezza – non è più la società dell’informazione e della tecnologia: è il mondo degli algoritmi”. [4] Non solo, ma è il mondo di un passaggio da un’economia patrimoniale ad un’economia relazionale, dove il controllo del sapere e delle sue forme proprietarie è al centro della questione delle questioni: la salvaguardia della libertà e della democrazia.

La domanda che sorge e che merita riflessione, in quanto riguarda uno degli elementi fondamentali della libertà, è quella che pone Michele Mezza, ossia se “la potenza digitale, con la sua pratica di proliferazione e la sua capacità di personalizzazione dei messaggi, è in grado di convivere con le procedure e le ritualità di una democrazia rappresentativa, tarata e condensata sui tempi e i linguaggi di una società di massa, dove i media sono amplificatori e non ingegneri di relazioni sociali dirette”.

Gli algoritmi sono posseduti da pochi o sono controllati democraticamente?

Colui che determina le procedure controlla la società intera?

In gioco è il controllo del sapere e dietro l’angolo c’è il grande problema dell’intelligenza artificiale.

Nick Bostrom, nel delineare un quadro di possibile sviluppo esplosivo della superintelligenza, pone la questione fondamentale: “Dobbiamo sperare che prima che l’impresa alla fine diventi davvero fattibile avremo acquisito non solo la competenza tecnologica necessaria per provocare l’esplosione, ma anche il livello superiore di maestria che potrebbe essere indispensabile per poter sopravvivere alla detonazione”.

Il soft power e lo sharp power oppiacei per il popolo

Molte nostre azioni sono soggette alla profilatura (pagamenti elettronici, pedaggi autostradali, e via elencando) e la maggior parte delle nostre comunicazioni sono intercettate o intercettabili e profilate ed entrano nei big data, i quali “applicati a tutti i cittadini – scrive Massimo Saggi – consentono di creare meccanismi di sorveglianza (e potenzialmente di repressione)”. [5]

Non è questo il contesto per una disamina sulla sovranità digitale, ma alcune brevi note si rendono necessarie. Il soft power, ossia la capacità di ottenere ciò che si vuole con l’attrazione, anziché con la coercizione o la remunerazione e lo sharp power, ossia l’uso manipolatorio dell’informazione, minano la libertà e la democrazia e, al tempo stesso, con la concentrazione in poche mani delle tecnologie della comunicazione, promuovono un centralismo assoluto, che può sfociare in autoritarismo.

L’attuale uso dei big data consente a chi li possiede di prevedere tutti o quasi tutti i nostri pensieri e le nostre azioni e di indirizzarli.

“Le capacità di elaborazione dati stanno privando – afferma Eric B. Schnurer – le persone di qualsiasi potere di controllo sulla loro stessa identità e autorappresentazione: si carpisce all’utente, che lo voglia o meno, ogni possibile informazione privata e indizio psicologico per manipolarlo e, quindi, limitare le sue possibilità di scelta facendogli credere di ottenere quel che desidera”.[6]

Inoltre, cosa ancora più grave, “le tecnologie dei giorni nostri hanno un effetto profondamente destabilizzante su qualsiasi forma di «autorità» e sembrano destinate a far piazza pulita dell’idea stessa di «autorevolezza». [7]

Rimane da sottolineare quanto afferma la scienziata Fei-Fei-Li, ossia che “gli algoritmi non sono neutri, visto che risentono dei pregiudizi di chi li ha disegnati”. [8]

Si pone pertanto, come urgente, la questione della libertà e della democrazia.

Nel suo “Breve racconto sull’Anticristo”, Vladimir Soloviev, anticipa, in chiave cristiana, quanto sta avvenendo ad opera di un Filantropo seduttivo (nel nostro caso una moderna Idra di Lerna), quando scrive: “C’era in questo tempo, tra i credenti spiritualisti, un uomo ragguardevole molti lo chiamavano superuomo, il quale era lontano dall’infanzia della mente e dall’infanzia del cuore. Egli era ancor giovane, ma grazie al suo genio eccelso a trentatré anni godeva fama di grande pensatore, di scrittore e di riformatore sociale. Cosciente di possedere in sé una grande forza spirituale, era sempre stato un convinto spiritualista e la sua vivida intelligenza gli aveva sempre indicato la verità di ciò a cui si deve credere: il bene. Dio, il Messia. Egli credeva in ciò, ma non amava che se stesso. Credeva in Dio, ma nel fondo dell’anima involontariamente e senza rendersene conto preferiva se stesso a Lui. Credeva nel Bene, ma l’Occhio dell’Eternità, che vede tutto, sapeva che quest’uomo si sarebbe inchinato davanti alla potenza del male, appena questa riuscisse a corromperlo, non con l’inganno dei sentimenti e delle basse passioni e nemmeno con la suprema attrattiva del potere, ma solleticando il suo smisurato amor proprio. Del resto questo amor proprio non era né un istinto incosciente, né una folle pretesa. A parte il suo talento eccezionale, la sua bellezza e la sua nobiltà, anche le altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza, parevano giustificare a sufficienza lo sconfinato amor proprio che nutriva per sé il grande spiritualista, l’asceta, il filantropo. Se gli si rinfacciava di essere così in abbondanza fornito di doni divini, egli vi scorgeva i segni particolari di un’eccezionale benevolenza dall’alto verso di lui e si considerava come secondo dopo Dio, il figlio di Dio, unico nel suo genere. In una parola egli riconosceva in sé quelle che erano le caratteristiche del Cristo. Ma la coscienza della sua alta dignità all’atto pratico non prendeva in lui l’aspetto di un obbligo morale verso Dio e il mondo, ma piuttosto l’aspetto di un diritto e di una superiorità in rapporto agli altri e soprattutto in rapporto al Cristo. Ma non aveva per Cristo una ostilità di principio. Gli riconosceva l’importanza e la dignità di Messia; però con tutta sincerità vedeva in lui soltanto il suo augusto precursore. Per quella mente ottenebrata dall’amor proprio erano inconcepibili l’azione morale del Cristo e la Sua assoluta unicità. Egli ragionava così: “Cristo è venuto prima di me; io mi manifesto per secondo, ma ciò che viene dopo in ordine di tempo, in natura è primo. Io giungo ultimo alla fine della storia precisamente perché sono il salvatore perfetto, definitivo. Quel Cristo è il mio precursore. La sua missione era di precedere e preparare la mia apparizione”. E in base a quest’idea, il grande uomo del secolo XXI applicava a se tutto ciò che è detto nel Vangelo circa il secondo avvento, spiegando questo avvento non come il ritorno di Cristo stesso, ma come la sostituzione del Cristo precursore col Cristo definitivo, cioè se stesso”.

L’Idra del XXI secolo, sotto forma suadente della filantropia, è come il Filantropo di Soloviev, un Anticristo finanziario, tecnologicamente evoluto, avente lo scopo di ridurre l’umanità in un gregge da governare con il soft power e lo sharp power, con il moderno oppio dei popoli, ma non sempre l’Idra può conseguire la vittoria. Eracle la sconfisse nell’antichità del mito e il racconto di Soloviev finisce con la ribellione degli Ebrei che, dopo esserne stati affascinati, avevano compreso le finalità diaboliche del Filantropo imperatore, che aveva eletto al suo fianco un Papa illusionista alle sue dipendenze. 

Erasmo da Rotterdam, nei suoi Adagia, paragona la guerra all’Idra di Lerna: “E poiché guerra genera guerra, da guerra finta nasce guerra vera, da guerra piccina guerra poderosa, non di rado suole accadere ciò che nel mito si racconta del mostro di Lerna”.

Il generale Carl von Clausewitz, nel suo famoso testo sulla guerra, dopo aver affermato che la guerra non è che un duello su vasta scala e che ogni attacco deve determinare una difesa (cosa che vale tanto più oggi, a fronte della guerra del soft power e dello sharp power), invitava a non perdere l’equilibrio: “Un animo forte è quello che anche nelle più forti emozioni non perde il proprio equilibrio interno”; e avvertiva: “Guai alla teoria che si mette in opposizione allo Spirito”.

Non praevalebunt.

© Silvano Danesi


[1] Giulio Giorello, Introduzione a Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore.

[2] Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore.

[3] Giulio Giorello, Introduzione a Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore.

[4] Michele Mezza, Algoritmo di libertà, Donzelli editore

[5] Massimo Saggi in Aspenia 85-2019

[6] Eric B. Schnurer, Aspenia 85 – 2019

[7] Eric B. Schnurer, Aspenia 85 – 2019

[8] Citazione in Massimo Gaggi, Aspenia 85 – 2019

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