Di Silvano Danesi
Un virus fuggito da un laboratorio di ricerca, la cui fuga è sottaciuta, facendo in modo che si possa diffondere o, peggio, un virus, appositamente confezionato come arma biologica capace di colpire un avversario specifico in base alle sue caratteristiche genetiche, mette in ginocchio una parte del mondo e del genere umano, a tutto vantaggio di chi ha innescato l’attacco.
Sembra di assistere alla trama di un film dell’orrore, ma è possibile che questo avvenga nella realtà o rimane confinato nella pura fantasia?
La risposta è complessa ma, in sintesi, si può dire che la realtà possa superare la fantasia.
Rebuilding America’s Defenses del settembre 2020 scrive: “Forme avanzate di guerra biologica che possono prendere di mira genotipi specifici possono trasformare la guerra biologica dal regno del terrore a uno strumento politicamente utile”.
In un articolo che riporta la sua relazione presentata al convegno Controllo degli armamenti e lotta al terrorismo tra Nato, Nazioni Unite ed Unione Europea, Venezia, 6-7 Dicembre 2004, il professor Gian Antonio Danieli, biologo e genetista dell’Università di Padova, scrive: “Conosciuto il genoma di un microorganismo, come ad esempio un virus, è possibile crearne uno simile, cosicché si potranno produrre nuovi agenti infettivi estremamente pericolosi, in grado di indurre nuove malattie la cui causa sarà estremamente difficile da individuare. Esistono differenze di frequenza di varianti farmacogenetiche tra diverse popolazioni. L’identificazione di eventuali differenze genetiche nella risposta alla somministrazione di “farmaci”, esistenti tra popolazioni diverse, in teoria potrebbe essere utile per scopi bellici, in quanto potrebbe aiutare a scoprire popolazioni particolarmente suscettibili all’azione di alcuni prodotti chimici, per esempio alcuni neurotossici. Questa prospettiva potrebbe sembrare allarmistica se non fosse che nel 1999 l’autorevole British Medical Association mise in guardia proprio contro il pericolo che vengano sviluppate armi biologiche indirizzate verso specifiche popolazioni (“Science for Evil: the Scientist’s Dilemma” editoriale BMJ 319: 448-449, 1999)”.
Nel corso di un’audizione di fronte all’House Committee on Government Reform (US) il 21 Novembre 2001 sul tema “Preparing a Medical Response to Bioterrorism”, come riporta nella sua relazione il professo Danieli, la Dr.ssa Meryl Nass, riguardo alle prospettive di sviluppo di armi biologiche di nuovo tipo, si è riferita in particolare a “microrganismi, che potrebbero essere sviluppati ora o nel prossimo futuro”, affermando che “questi potrebbero, ad esempio, applicare i progressi nella conoscenza del genoma umano e la variabilità genetica tra le diverse popolazioni, per creare organismi specificamente adattati a determinati gruppi o esigenze militari . Esempi potrebbero essere un batterio che secerne citochine causando malattie autoimmuni, ma colpirebbe solo quelle di origine scandinava, o un’infezione gastrointestinale che produce sterilità. In ogni caso, la distruzione autoimmune del tessuto sarebbe irreversibile”.
“Le ricerche sul genoma umano – commenta il professor Danieli – non solo hanno individuato numerosi geni coinvolti in funzioni e processi fondamentali, ma hanno anche messo in evidenza la notevole variabilità genetica a livello di singoli geni. Una piccola parte di tale variabilità è costituita da varianti patogene (alterazioni della sequenza di DNA corrispondente ad un gene, in grado di determinare l’insorgenza di una specifica malattia ereditaria o la predisposizione a svilupparla nel corso della vita). Una parte considerevole è costituita da varianti “neutre” (la cui presenza non ha alcun effetto sulla funzione del gene o del suo prodotto), ma una piccola parte è costituita da varianti di alcuni geni, che possiamo definire “condizionalmente patogene”. Tali varianti risultano innocue per l’individuo che le porta, fintantoché esso non venga esposto ad un determinato composto chimico (un farmaco, un componente della dieta, un prodotto chimico inalato accidentalmente, etc). In questi casi un’alterazione in un dato gene può determinare una risposta anomala ad uno specifico composto, tanto da risultare patogena e talvolta letale”.
Il professor Massimo Delledonne, dell’Università di Verona, il 15 gennaio 2021, in un’intervista al quotidiano La Verità, ha ipotizzato che una sequenza di Dna ereditata dai Neanderthal possa essere la causa di maggiori rischi di contrarre in forma grave il Coronavirus. Nell’intervista il professor Delledonne riporta il dato che un consorzio tra stati, il Covid-19 Hg, ha esaminato 8 mila spedalizzati e 5 mila gravi e ha stabilito un legame tra l’incidenza più grave della malattia e il Dna. “A questo punto – sostiene il professor Delledonne – interviene uno studioso tedesco che studia da anni le cause dell’estinzione dell’uomo di Neanderthal. In uno studio pubblicato sulla rivista Nature spiega che alla forma più grave di manifestazione della malattia da nuovo coronavirus sono legati alcuni geni localizzati sul cromosoma 3”. E questi geni sono esattamente quelli ereditati dal nostro progenitore circa 60 mila anni fa.
Fantasia? No, realtà che supera la fantasia.
Dove stava il nostro progenitore Neanderthal?
L’uomo di Neanderthal deve il suo nome alla località in cui furono rinvenuti i primi resti, la valle del Neander presso Düsseldorf, in Germania, nel 1856. Apparve circa 350.000 anni fa e si estinse circa 30.000 anni fa, con una massima diffusione in Europa, Italia compresa, tra gli 80 e i 40.000 anni fa.


Lo studio Covid-19 Hg e quello relativo a Neanderthal ci danno un indizio interessante del motivo per il quale, ad esempio e nella drammatica realtà, e non più nella fantasia, il Covid – 19 si sia diffuso principalmente in Europa e in America, dove gli europei sono migrati non molti secoli fa.
Sul rapporto tra viralità del Covid-19 e genetica si occupa, ora, anche ORIGIN, il progetto che nasce da un’idea dei ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, impegnati da anni nello studio dei difetti genetici che possono essere all’origine di una malattia.
Il progetto, che si avvale di un questionario compilabile collegandosi al sito origin.marionegri.it o, in forma cartacea, presso il Municipio e le biblioteche comunali, ha già ottenuto più di 4300 le adesioni di cittadini dei 18 comuni della bassa e media Val Seriana e Val Gandino, i quali hanno compilato il questionario utile a raccogliere le informazioni sulla propria esperienza COVID-19. Dopo l’avvio nei 18 comuni, da dicembre lo studio è stato esteso alla città di Bergamo e ad altri 5 nuovi comuni: Gorle, Pedrengo, Scanzorosciate, Seriate, Torre Boldone.
Sono invitati a partecipare al questionario, su base volontaria, tutti i cittadini adulti (dai 18 anni in avanti), di entrambi i sessi, residenti nei comuni di Bergamo e provincia, che abbiano eseguito almeno un test sierologico e/o un tampone orofaringeo per SARS-CoV-2, indipendentemente dall’esito.
L’ipotesi alla base del progetto ORIGIN è, come ha reso noto l’Istituto Negri, che le variazioni genetiche interindividuali possano spiegare in una popolazione le diverse risposte a un’infezione virale e che la gravità della malattia COVID-19 sia quindi determinata geneticamente in ogni persona che viene infettata.
Esaminando la relazione tra varianti genetiche e risposta ai farmaci, si potranno ottenere informazioni rilevanti per distinguere quali malati potranno rispondere o non rispondere alle terapie ad oggi utilizzate per il trattamento del COVID19 o a quelle che verranno studiate in futuro.
I risultati dello studio potranno aiutare i ricercatori a comprendere chi è più a rischio di sviluppare una forma grave di malattia e chi invece risulta probabilmente protetto. Questo potrà avere un impatto sull’approccio clinico e consentirà di trattare precocemente le persone più suscettibili, prevenendo complicazioni che portano al bisogno di terapia intensiva.
“La forte attenzione al progetto e la grande partecipazione – dichiara Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri – ci hanno mostrato che tutti i cittadini vogliono fare la loro parte per sconfiggere il virus. Perché questo non è solo un progetto di laboratorio: ogni partecipante è un piccolo ricercatore che contribuisce attivamente al successo dell’impresa. È un vero e proprio progetto di comunità”.
Lo scopo del Progetto ORIGIN, come s’è detto, è di indagare se esista una elazione tra fattori genetici e malattia da COVID-19. L’ipotesi alla base è che le variazioni dell’assetto genetico di un individuo possano avere un’influenza sulla gravità della malattia COVID-19 e possano spiegare le diverse risposte all’infezione.
A seguito della compilazione del questionario, i volontari vengono contattati per un colloquio con i medici del Centro di Ricerche Cliniche Aldo e Cele Daccò di Ranica, anche al fine di effettuare le indagini genetiche utili allo studio.
“afferma – Abbiamo bisogno della partecipazione di tutti – sostiene Ariela Benigni, Segretario Scientifico e Coordinatore delle Ricerche – e in particolare di coloro che hanno avuto forme gravi di COVID-19: nei loro geni si cela il segreto attraverso cui il virus colpisce. Vogliamo scoprirlo per poterlo combattere. Lo studio ORIGIN sarà il fiore all’occhiello della comunità bergamasca che, anche se fortemente provata da questa epidemia, ha sempre la forza di rialzarsi e andare avanti”.
Giunti a questo punto è lecito domandarsi come sia possibile e se sia possibile confezionare armi biologiche ad hoc e se il Covid-19 possa essere considerato un’arma biologica, forse sfuggita di mano e comunque lasciata correre per il mondo durante un troppo lungo colpevole silenzio.
La risposta in parte ce la dà il professor Danieli, il quale, nella sua relazione al convegno Controllo degli armamenti e lotta al terrorismo tra Nato, Nazioni Unite ed Unione Europea, Venezia, 6-7 Dicembre 2004, sostiene che “gli organismi più utilizzati come armi biologiche sono i microorganismi (soprattutto batteri e virus), per la semplice ragione che sono invisibili ad occhio nudo e che esistono specie patogene anche in natura. Perchè un microrganismo possa essere utilizzato come arma biologica deve avere le seguenti caratteristiche: oltre all’elevata infettività e virulenza e la resistenza a trattamenti medici di routine, deve poter resistere relativamente poco nell’ambiente (che altrimenti resterebbe a lungo gravemente contaminato, costringendo i vincitori a non occupare quel territorio, o ad adottare contromisure complesse e sempre molto costose). Inoltre, per quanto riguarda il processo di produzione di munizioni da utilizzare in uno scenario di guerra, è necessario che il microrganismo possa essere ottenuto in grandi quantità attraverso processi di tipo industriale e che rimanga stabile e virulento per tutto il tempo necessario all’immagazzinamento prima dell’impiego operativo e nella fase di dispersione nell’ambiente nel corso dell’attacco”.
In “Guerra senza limiti – L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione”, scritto nel 1996 dai colonnelli cinesi Qiao Liang e Wang Xiangsui e pubblicato nel 1999, alla domanda di dove sia oggi il campo di battaglia rispondono: ovunque.
Scrivono Qiao Liang e Wang Xiangsui: “Ciò che va detto chiaramente è che il nuovo concetto di armi sta creando dispositivi che sono strettamente legati alla vita della gente comune. […]. Non vi è nulla al mondo oggi che non possa diventare un’arma, il che impone alla nostra interpretazione del concetto di armi di avere una consapevolezza che superi qualsiasi limite. […]. E’ innegabile che onde subsoniche, nuove armi biologiche e chimiche, terremoti, tsunami e disastri climatici provocati dall’uomo siano tutte armi di nuova concezione e che presentino differenze notevolissime rispetto a quelle che noi normalmente chiamiamo armi”.
La realtà supera la fantasia. Siamo in piena guerra? Se la guerra usa come bombardieri i virus, il vaccino è la contraerea, ma soprattutto, a fronte di una guerra senza limiti è necessario avere una difesa senza limiti. E qui casca l’asino. L’Europa, moloch burocratico e nano politico e militare, è stata incapace di capire, prevenire, curare, vaccinare e l’Italia, sprofondata nella notte nera del Governo conte due, è stata il punto più debole della resistenza, l’area di sfondamento priva di difese.
Ora è tempo di cambiare radicalmente, a cominciare dalla mentalità, che deve entrare pienamente nella considerazione della guerra senza limiti in atto e agli scenari di guerra futuri.